L’Acorus Gramineus Pianta da Acquario, è detto Piccolo Calamo. Foglie fascicolate inguainanti, erette o ricurve, ensiformi, con nervature appariscenti, lunghe 1- 1,20 m. Scapi fiorali un po’ più corti delle foglie, terminati da una lunga spata fogliacea, dalla quale sporge verso la metà uno spadice cilindrico lungo circa 10 cm, un po’ arcuato. I fiori sono piccolissimi, ermafroditi, sessili, giallo-verdastri. Tutta la pianta, in particolare il grosso rizoma e la parte florale, emanano un forte odore aromatico.
E’ una pianta Perenne che fiorisce in tarda primavera, verso maggio-giugno. Originaria dell’Europa, dell’Asia e del Nord America, predilige un clima temperato-freddo, ed una posizione molto luminosa, sia in pieno sole sia all’ombra parziale. Non teme il freddo, più facilmente teme il caldo torrido, quindi si consiglia di ombreggiarla nei mesi più caldi, per evitare che la pianta appassisca. La temperatura ottimale varia tra i 15°-20 °C, con l’optimum di 18°C.
Preferisce terreni molto umidi, sia sulle rive di corsi d’acqua o di bacini, sia in contenitori interrati sul fondo di laghetti e stagni. In generale l’acorus cresce senza problemi in qualsiasi tipo di terreno, preferendo comunque terreni leggermente acidi. L’origine palustre della pianta richiede annaffiature molto frequenti e una regolare concimazione nel periodo di irrigazione annuale.
Questa pianta si propaga per divisione del rizoma. In autunno o in primavera si dividono i rizomi e si ripiantano immediatamente. La propagazione può avvenire anche per seme, anche se non sempre la pianta li produce, e non sempre sono fertili. Più spesso l’acorus si moltiplica per divisione di cespi di foglie, poichè gli stoloni della pianta tendono a diramarsi sotto terra e a produrre nuove piante, che possono essere staccate dalla pianta madre e poste a dimora singolarmente, possibilmente a fine estate oppure all’inizio della primavera.
Non necessita di rinvaso frequente mentre è opportuno eliminare eventuali foglie secche o danneggiate.
Questa pianta viene spesso attaccato da afidi che ne rovinano i germogli.
Indice dei Contenuti
Acorus Gramineus Pianta da Acquario
La pianta in acquario
Valori dell’acqua:
Temperatura: 18°/23° c
PH: 6/9
GH: 6/18
Illuminazione: alta/medio alta
Ambiente: emerso
Posizione: mediana
Difficoltà: facile
l‘Acorus Gramineus, un’erba palustre della famiglia delle araceae, originaria dell’Asia orientale, in particolare India, Giappone e Cina. Si tratta di una pianta cespitosa con foglie nastriformi lunghe in acquario 25/30 centimetri. E’ una pianta palustre che può essere adattata per l’acquario anche se è preferibile utilizzarla in paludari o comunque in emersione.
E’ possibile che mostri segni di intolleranza alla vita completamente sommersa. Questo perché trattasi di pianta anfibia, che manifesta forme di marcescenza alle foglie e alle radici. L’importante è fornirle un buon substrato fertile. La sua temperatura idelae si aggira attorno ai quindici-venti gradi, con un ph neutro e durezza dell’acqua media.
Preferisce un’illuminazione da normale a intensa, mentre per il substrato è meglio l’argilla o la torba con argilla. Nei piccolo acquari è preferibile inserire la varietà nana, molto diffusa. In acquario si posiziona preferibilmente isolata dietro a rocce o in corrente. E’ una pianta piccola, a crescita lenta, adatta a una posizione intermedia nell’acquario.
Acorus Gramineus Pianta da Acquario – Curiosità, particolarità e storia:
L’Acorus Gramineus Pianta da Acquario, in italiano viene chiamato Calamo Aromatico. Nel genere calamus (Acorus calamus L.; Acorus aromaticus Gilb.; A. odoratus Lam.; Acorus vulgaris), è una pianta ricca di storia e di utilizzi differenti, officinali e ieratici.
L’intensa profumazione del rizoma ne ha favorito storicamente l’uso come ingrediente in diversi profumi egiziani. Fra questi c’è kyphi, profumo utilizzato unicamente in contesti cerimoniale-religiosi. Sono stati ritrovati resti organici di acorus nelle tombe egizie, addirittura nella tomba di Tutankamon.
Secondo Vigouroux (1912, alla voce roseau aromatique) il calamo aromatico non cresceva in Egitto, ma vi fu importato dai mercanti fenici che lo ricevevano dall’Asia orientale. Per questo era riconosciuto dagli egiziani con il nome di “canna della Fenicia”.
Nella letteratura antica greca e romana l’acoro viene denominato rispettivamente akoron e calamus. Con questi termini gli autori antichi indicarono anche specie di giunchi, di canne e di iris, creando con ciò una certa confusione presso gli studiosi e i traduttori moderni. Plinio (Hist.Nat., XII:104-6; XXIV:85-6) riporta l’impiego di questa pianta nella preparazione di oli e profumi pregiati, e come ricercato aroma e additivo dei vini greci e latini. Ne parlano diffusamente anche Teofrasto (Hist.Pl., IV,8,4, dal quale Plinio il Vecchio trae buona parte delle sue informazioni) e Dioscoride (Mat.med., 1,1 7-18).
Quest’ultimo autore afferma che il termine acorus viene dal greco akoro, il quale a sua volta proviene dalla parola kore, ovvero la pupilla dell’occhio. Si riteneva infatti che la pianta fosse utile per guarire le malattie oculari. Ma l’identificazione dell'”acoro” di Dioscordie non è sicura. Celso chiamò la pianta acorus alexandrinus, indicandone in tal modo l’importazione per via mare e la confezione in Egitto (Miller, 1974:93). Matthioli (Discorsi, 26) riferiva che la radice “tenuta in bocca, masticata, o bevuta, irrita al coito”.
L’acoro è stato considerato da alcuni studiosi come un ingrediente degli unguenti per “volare” delle streghe del Medioevo, se l’acorum vulgare riportato in una ricetta del Dalla Porta (1558) è identificabile con questa pianta (Cf. in particolare Clark, 1978), ma ciò parrebbe in contrasto con la data generalmente accettata di introduzione di questa specie in Italia.
Rientra nella composizione di numerosi profumi del ‘500 e ‘600 europei (cf. ad es. Rosetti, 1555). Durante la crisi del 1930, i rizomi di acoro venivano masticati, in Gran Bretagna, da coloro che non erano in grado di procurarsi il tabacco (Hoffer & Osmond, 1967:55).
Questa pianta acquatica viene ritenuta generalmente un allucinogeno minore. Le sue grosse radici rizomatose sono utilizzate per gli effetti psicoattivi da alcune popolazioni indigene situate in contesti geografici e culturali distanti fra loro. Viene più diffusamente coltivata e impiegata come pianta medicinale.
Gli Indiani Cree dell’Alberta, in Canada, masticano un pezzo di radice lungo 1-2 pollici (2,5-5 cm) per sopravvenire alla fatica. Un pezzo lungo 10 pollici (25 cm) invece viene utilizzato per produrre allucinosi (ma potrebbe trattarsi della specie nativa A. americanus).
La tribù IAI della Nuova Guinea consuma il rizoma in certe cerimonie. Durantequesti ultimi i partecipanti si sentono in grado di contattare gli spiriti. Si incontra una curiosa similitudine anche nel rapporto promosso dall’uomo fra questa pianta e i cani. Gli Indiani Sioux del Nord America sputano pezzi del rizoma masticati nella bocca dei cuccioli per renderli feroci cani da guardia, mentre i cacciatori Raiapo Enga della Nuova Guinea sputano pezzi del rizoma masticati nel naso dei loro cani per rinforzarne l’abilità nella caccia (De Smet, 1985).
Numerose tribù dell’America settentrionale associano mitologicamente l’acoro con il topo muschiato, un roditore che è un vorace consumatore della radice di questa pianta. Quest’associazione si rispecchia nel nome dato da queste popolazioni all’acoro: “radice del topo muschiato” (Morgan, 1980, cit.in Ott, 1993:361-2). L’antropologo R. Kaplan ha riportato l’impiego di una pozione purgativa contenente radici di acoro, somministrata prima dell’assunzione dell’agarico muscario (A. muscaria) presso una sciamana Ojibwa (Ott, 1993:362) (http://www.samorini.it/doc1/sam/acoro.htm).
La geografia:
L’origine geografica di questa specie è discussa. Un’ipotesi accreditata la vede originaria del SE-Asiatico e introdotta in Europa neI XVI secolo da Matthioli e da Clusius, tramite rizomi provenienti dalla Turchia. In seguito la coltivazione come pianta medicinale ne avrebbe ampliato la diffusione, causando l’espansione di ceppi naturalizzati. Altre fonti ugualmente autorevoli la ritengono originaria proprio dell’Europa e del Nord America. Questa dall’Europa soltanto in seguito fu importata in India (Chopra et al., 1958). Inoltre, spesso si è voluto vedere questa specie quale ingrediente degli unguenti psicoattivi delle streghe del Medioevo europeo, collocando la presenza della specie in Europa in un periodo antecedente a quello di Matthioli e di Clusius. Gli studi più recenti di Packer & Ringius (1984) hanno escluso la possibilità che l’Acorus calamus possa essere di origine americana, dove fu probabilmente introdotta durante il periodo coloniale . Attualmente, Acorus calamus appare ovunque sterile (Wulff, 1940), tanto in Europa, quanto in Nord America. Resta pertanto indefinita, allo stato attuale della ricerca, l’origine geografica vera di questa pianta.
Uso medicale:
Il rizoma di questa pianta è ricco di oli aromatici e può essere usato come afrodisiaco o come ingrediente di preparazioni psicoattive. In Europa viene impiegato essenzialmente come amaro aromatico, stomachico ed eupeptico, come tonico in infusione e come composto delle polveri dentificie.
Trova più largo impiego nella medicina indiana come emetico, lassativo diuretico, anti-dissenterico e nelle febbri intermittenti acute. Viene usata nella terapia di alcune malattie nervose e mentali quali l’epilessia, il delirio, l’isterismo, e in alcune forme di amnesia. In Cina è stato usato come stimolante sessuale, nel trattamento delle malattie nervose e per “prolungare la vita”.
L’acoro è utilizzato presso numerose tribù indiane del Canada nella cura dei raffreddori, dei crampi allo stomaco e del colera e per allevare il mal di denti.
L’acorus nell’Antico Testamento:
Riferimenti all’acoro sono presenti in alcuni passi dell’Antico Testamento. Con il nome ebraico di qânéh o di qenéh bôsém (“canna odorosa”, da non confondere con il “giunco odoroso”, Cymbopogon schoenanthus L.). Si tratta di una graminacea che cresce nel medesimo habitat dell’acoro. In questi passi l’acoro rientra nella composizione di aromi e di oli dal particolare valore cerimoniale e sacramentale.
Il santuario:
Nelle prescrizioni che Javeh detta a Mosé sulla costruzione del santuario a lui dedicato e sulle relative cerimonie da eseguire, viene pronunciata una precisa formula per la preparazione di un “olio dell’unzione”. E’ composto di mirra, cassia, canna odorifera (acoro), e cinnamomo, tutti ingredienti ritenuti provenienti dalle lontane terre asiatiche. Con questo olio Mosé dovrà ungere le diverse parti del santuario e dei suoi accessori, e quindi gli stessi sacerdoti dediti al culto:
“Consacrerai queste cose, le quali diventeranno santissime: quanto le toccherà sarà santo. Ungerai anche Aronne e i suoi figli e li consacrerai perché esercitino il mio sacerdozio. Agli Israeliti dirai: Questo sarà per voi l’olio dell’unzione sacra per le vostre generazioni” (Esodo 30,29-31).
L’unzione:
L’unzione con questo olio, funziona come altri unguenti sacramentali delle antiche culture medio-orientali e della Mezza Luna. Era una pratica riservata esclusivamente alla casta sacerdotale. L’uso profano e la sua fabbricazione illecita erano punite severamente.
Questa sua sacralità potrebbe essere attribuibile non unicamente alla preziosità delle spezie vegetali di cui è composto, in quanto merce rara proveniente da terre lontane; è possibile che le proprietà farmacologiche di alcuni suoi ingredienti abbiano inciso sulla venerazione tributatagli.
In altri passi dell’Antico Testamento l’acoro viene citato fra la merce portata da arabi dello Yemen sui mercati di Tiro (Ezechiele, 27,19), o come ingrediente per pregiati aromi (Isaia, 43,24; Geremia, 6,20; Cantico dei Cantici, 4,14).
Bibliografia:
Fonte primaria è lo scritto di Giorgio Samorini e Francesco Festi, www.samorini.it, nonchè www.lemiepiante.it.
Per una più ampia bibliografia si rimanda al sito www.samorini.it